Prospettive, maturità e l’aereo di Rushdie
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Ci sono pochi modi per contestualizzare il mondo.
Non è un’affermazione, un dato di fatto, una triste constatazione. Si tratta solo di un modo come un altro di guardare le cose e smettere di capire. Perché non puoi rispondere, a volte. Domande semplici e infantili ti girano nella testa fino a farti salire il vomito.
Se fossi la luna, so dove cadrei. Era scritto in un libro. La luna non ha problemi in questo, svolge il suo lavoro come niente fosse. Chi se ne frega. Non ha bisogno di alcuna contestualizzazione.
A volte, quando superi certi ostacoli, viene avanti l’esigenza di porgersi alcune domande e darsi delle risposte. La maturità, eccone una.
Cos’è la maturità?
La nascita e la crescita, la vita e la morte. Ora che le certezze sono svanite, cosa ci resta? Una manciata di filosofia da tre soldi. Un mucchio di carta, qualche appunto, l’odore del fumo che non va via, il puzzo dell’alcol che non riesci ad acquietare neanche dopo mesi di astinenza.
Siamo fatti così. E’ la natura, e non la cambi con un po’ di buoni consigli.
Nessuno ti sa dire quando e come sei maturo. Maturo per cosa?
Passo indietro alla vita e alla morte. Sarai mai maturo per accettarli?
Guarda te stesso in un flashforward. Eccoti lì, a sessant’anni e rotti. Chi sei? Sei maturo abbastanza? O cerchi ancora le risposte che cercavi a dodici anni?
La gente ha bisogno di darsi prospettive. Prendi questo più quell’altro e ottieni una terza cosa che carichi di senso esasperato.
Addizioni e sottrazioni. Facciamo calcoli per non pensare al tempo, al senso, alla fine.
Una tribù di matematici.
Alla tv hanno detto che le cose miglioreranno. Ecco, ho questa strana idea che non sarà così. Marx l’aveva detta giusta, solo che non conosceva ancora bene il potere dei media futuri.
Abbiamo bisogno di fantocci per incanalare le nostre paure. E più ci convinciamo di essere originali, più siamo allineati al pensiero comune.
Chi si sarebbe mai aspettato di parlare come un vecchio? E’ forse questa la maturità?
C’era una canzone che diceva “il mio corpo si sente giovane, è la mia mente ad essere molto vecchia”. Significava maturità? Quanti anni ci vogliono per esserlo?
Addizioni e sottrazioni.
Rushdie ha una sua idea. Nei suoi Versi Satanici parla di un incidente aereo. Il velivolo si apre come un uovo e lascia scivolare il suo contenuto fatto di sogni infranti, di parti intime, di oggetti preziosi, di calvizie, di verginità, di anzianità e giovinezza, di speranze, di scarpe nuove e abiti firmati, di tabù, di ideali.
Noi siamo il nostro corpo, niente di più. Goditi il tuo corpo, diceva Phil in The Big Kahuna. Usalo in tutti i modi che puoi.
Chi è morto su un aereo, lo ha capito forse troppo tardi. I nostri tabù, la nostra concezione del mondo è strettamente connessa al nostro corpo. Noi siamo tanti piccoli metri che fanno addizioni. Ogni tanto capita di incontrare qualche misura che combacia e allora pensiamo che è fatta. Che l’amore, il lavoro, le relazioni hanno un senso. Altre volte i conti non tornano mai.
Certe volte devi essere duro con te stesso e con gli altri e prenderti odio. L’odio è forse l’anticamera dell’amore e della fiducia. Se non distruggi, non potrai mai ricostruire.
La maturità non è una questione di età. E’ l’avere il coraggio di usare le ruspe quando serve, è avventurarsi in territori paludosi rischiando di affondare.
Opere di bonifica.
Il nostro corpo le subisce. I segni che ci lasci sopra non li cancelli mai. Non li puoi cancellare. Non è solo una questione di etica, è l’istinto a vietarlo. Costruiamo castelli di regole intorno al nostro corpo perperseverarlo. Non tocchiamo il prossimo perché abbiamo paura che ci faccia del male. Cuori sigillati in armature sempre più coriacee.
Il tuo corpo e i tuoi tabù. Nessuno ti ha mai baciato sul collo. Lo puoi dire solo a chi lo farà per la prima volta. Ti bacerà in quel punto che, sull’aereo di cui parla Rushdie, subirà il morso caldo dell’acciaio e del kerosene. Un lembo della tua vita e della tua moralità in fumo. La verginità serve a perseverare parti intime. Sull’aereo di Rushdie, le tue parti intime vanno a fuoco. Cadono insieme a scarpe vecchie, brandelli di valigie, abiti firmati.
Vanesie e inutili quanto una cintura griffata.
La tua verginità è un piatto di cristallo di Martha Stewart.
Il fatto è che non si è maturi mai davvero. O forse lo si è nel momento in cui t’accorgi che il signore vestito di rosso che porta i regali è tuo padre. O tuo zio grassoccio. O un povero cristo ai grandi magazzini che prova a sbarcare il lunario.
La tua sicumera è una borsa di Louis Vuitton.
Perciò, prova a sommare il tuo lavoro, la tua famiglia, i tuoi successi personali, le tue prospettive e vedi che ottieni quella parvenza di maturità. Quel soffio leggero di fiato che t’illude di essere più grande, di esserti buttato alle spalle problematiche profonde, di aver già capito il senso della vita. La somma di prospettive ti dà altre prospettive.
Le tue prospettive sono un posacenere Bentley.
Forse lo scopo è quello di non smettere mai di fare addizioni. Forse, nel momento in cui smettiamo, regrediamo a quando nemmeno pensavamo che il tizio vestito di rosso fosse nostro padre o chi per lui. Forse abbiamo bisogno che le parti intime, i nostri tabù, ci vengano strappati di colpo per capire cos’è la maturità.
Forse stiamo aspettando.
Ma illudersi che qualcuno lo diventi per noi, che provi a colmare per noi quell’assenza di maturità, è da stupidi.
Come è da stupidi pensare che il tempo aggiusti le cose e ci faccia crescere senza troppi sforzi.
Perché il modo per contestualizzare il mondo, il tuo e quello di altri, forse non esiste.
Giuseppe Branca